Peste suina: da due mesi senza reddito, allevatori pavesi in ginocchio

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La situazione per gli allevamenti suinicoli pavesi a causa delle restrizioni per la peste suina ha raggiunto ormai livelli insostenibili.

Gli allevatori non hanno alcuna entrata da quasi due mesi, nel frattempo lievitano costantemente i costi di mantenimento degli animali, della sorveglianza veterinaria, dell’applicazione delle misure di biosicurezza, mettendo a rischio anche l’indotto che ruota intorno al comparto come i mangimifici, i rivenditori di macchinari agricoli e di prodotti fitosanitari.

A tutto ciò si aggiunge la decisione di alcuni trasformatori di non ritirare carni macellate dalle due aziende del cremonese indicate da Regione Lombardia, in quanto carni provenienti dal pavese. A nulla serve il fatto che si tratti di carni di suini sani, come garantito dalle analisi continue eseguite sugli animali, si è preferito ignorare la normativa che prevede che la carne sia destinata solo alla produzione di salumi cotti o di prosciutti crudi con stagionatura di almeno 400 giorni.

Quanto mai fondamentale è perciò ridurre il perimetro delle zone di protezione e sorveglianza: la zonizzazione, che attualmente riguarda 172 Comuni e pare resti in vigore fino al 18 novembre, verrà discussa il 6 novembre in Commissione europea alla presenza dei ministeri della Salute e dell’Agricoltura.

L’auspicio è che sia deciso di modificare le zone di protezione e sorveglianza, inserendo la maggior parte della provincia di Pavia in zona 1, che ha regole meno restrittive.

Per Carlo Emilio Zucchella, presidente di Cia Pavia, la ridefinizione delle zone è punto fondamentale per la sopravvivenza delle aziende: “Ormai da un mese non si riscontrano altri focolai, ciò significa che le misure di sicurezza funzionano. Gli allevatori, così come le associazioni di categoria, non confidano negli indennizzi (anche perché servirebbero milioni di euro per salvare il comparto) ma chiedono di poter continuare a lavorare.”

Ancora Zucchella: “Attualmente ci sono 30mila capi che andrebbero macellati il prima possibile. Tra due settimane il quadro si aggraverà ulteriormente, con il rischio a fine novembre di averne 60mila, numeri esorbitanti, è per questo che va gestita la destinazione delle carni il prima possibile.”

E gli agricoltori come faranno a sopravvivere a questa situazione ? “E’ giunto il momento di decidere: o si abbattono gli animali, auspicando indennizzi, oppure, come speriamo accada, dovranno essere presto limitate le zone di protezione e sorveglianza. Serve però un impegno di tutti, dalle istituzioni ai privati, per aiutare un comparto che rischia di collassare portandosi dietro tutti gli attori della filiera se non si interviene subito” conclude il presidente di Cia Pavia.

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